Il termine Wabi-sabi è composto da due vocaboli giapponesi distinti, dal significato profondo che tratta di sensazione, è raramente spiegabile a parole e ancor meno facile da definire.
Uno dei più grandi architetti della storia, Frank Loyd Wright sosteneva che una costruzione ma più in generale una cosa dovrebbe avere in sé la bellezza. La bellezza dovrebbe derivare dalla forma e dal modo in cui è costruita e non da cosa gli si mette sopra per abbellirla.
Il wabi-sabi è un ideale artistico tipicamente giapponese che descrive la bellezza di oggetti di fattura rustica, solitamente caratterizzati da un uso di materiali naturali grezzi, da superfici corrose dalle intemperie, da assenza di forme geometriche e da colori neutri.
Il termine nato in relazione all’estetica della cerimonia del tè e poi allargato a diverse forme d’arte riconduce soprattutto alla dottrina del buddhismo zen: all’apprezzamento di una vita a contatto con la natura e l’inafferrabilità della sua essenza.
Calato nel nostro modo di vivere e nel nostro abitare diremo semplicemente che è la bellezza delle cose imperfette, naturali senza inutili aggiunte prettamente estetiche; è la bellezza delle cose umili, semplici, lo spendere infatti non è sempre sinonimo di bello ma lo è la bellezza delle cose insolite, diverse e originali.
Wabi suggerisce un concetto di bellezza discreta, che nasce dalla presenza di imperfezioni naturali o introdotta in modo casuale da processi di lavorazione artigianale, ma mai intenzionalmente voluta.
Sabi invece sottintende una bellezza legata al passare del tempo che inevitabilmente lascia delle tracce.
Il wabi-sabi trae dalla natura le sue lezioni fondamentali, intende la bellezza come un evento silenzioso e dinamico che può rivelarsi in modo inatteso, lo si potrebbe definire un esercizio di inversione percettiva. Non a caso gli oggetti wabi-sabi spesso vengono visti come “rustici” perché semplici, realizzati con materiali naturali, con superfici irregolari e di colore non uniforme, invece occorrono sensibilità ed esperienza per essere in grado di apprezzarne il valore estetico.
Essendo un’arte del sentire, si può dire che il wabi-sabi ispiri un minimalismo intuitivo, per nulla razionale e un’estetica imperfetta e vissuta, tesa a ricreare un’atmosfera personale e intimista.
Nel design per esempio, attribuire valore all’imperfezione naturale significa produrre oggetti capaci di invecchiare, entità vive e mutevoli, le cui imperfezioni possono diventare gli elementi narrativi delle loro storie stimolando un legame intimo tra utente e prodotto.
Il wabi-sabi sbuccia un elemento fino alla sua essenza ma senza toglierne la poesia, tiene le cose pulite e svincolate ma senza renderle sterili, mantenendone le peculiarità ma senza ostentazione.
Potremmo considerare il wabi-sabi come un’opportunità per cambiare la nostra prospettiva di visione che può arrivare a generare un mutamento interiore potente e profondo, in grado di spingerci a rallentare e considerare i dettagli della realtà circostante in tutte le sue sfumature.